venerdì 31 gennaio 2014

Granita di neve


Ieri è arrivata la prima nevicata quasi seria qui in città. Mi piace quando guardo in alto e mi sento avvolgere dal turbinio di fiocchi fitti fitti. E mentre camminavo senza ombrello e i fiocchi volevano ricoprire anche me mi è comparso un flash, IL mio ricordo legato alla neve.

Facevo terza elementare e c'era stata una di quelle nevicate che ci aveva costretti a non andare a scuola. Dopo pranzo avevo avuto il permesso di mettere i doposci e andare a giocare in cortile, a patto di non bagnarmi, non prendere freddo, non...non...non. La neve mi arrivava quasi alle ginocchia e dopo una sequenza instancabile di palle di neve, pupazzi di neve e tunnel nella neve mia madre mi venne a ripescare sudata marcia, con la neve nella schiena, piedi e pantaloni fradici e unghie livide. Nella foga del gioco non me ne ero neanche resa conto, anche se ero tutta tremolante; mi mise vicino al termosifone e mi riscaldava con il phon, mentre mi faceva una lavata di capo colossale, prevedendo influenze e malanni di ogni tipo. Io, che ero una bambina molto sensibile e volevo sempre essere perfettina, mi misi a singhiozzare inconsolabile.
Forse mia madre si pentì di aver rovinato quel pomeriggio di giochi speciali, perchè mi fece ritornare il sorriso con una merenda fuori dal comune, la granita di neve!  Un bel bicchiere di neve mescolata con succo di limone misto a zucchero. Mi sembrava una cosa incredibile: in cortile avevo assaggiato la neve, con quel sapore che sembra anonimo e invece è inconfondibilmente...neve, ma mangiarla  come un dessert con la complicità di mia madre mi sembrava una cosa controcorrente, uno strappo alla nostra tranquilla normalità fatta di abitudini e regole.

Erano gli anni Ottanta e non si parlava ancora di polveri sottili e PM 10, così io e gli altri disperati che erano stati con me a correre e a congelarsi gustammo la merenda più speciale.




mercoledì 29 gennaio 2014

L'Ikea e l'invecchiamento



Ieri ho fatto la conoscenza con una nuova me, all'Ikea, e devo dire che è stato un pomeriggio di rivelazioni.

Tra le corsie del paradiso del mobile da montare ho capito che il traguardo degli Anta, a cui mi manca ancora un anno e mezzo, si avvicina insidioso e a mi allontana piano piano da quella incoscienza e spensieratezza giovanile per trasformarmi in una dinamica  e saggia quarantenne.  Ho preso atto che sarò quarantenne nella testa, oltre che nel fisico. E scusate se è poco.

Ma vediamo cosa è successo.
Da un po' di tempo mi sono accorta di aver sviluppato un'idiosincrasia a centri commerciali e luoghi affollati in genere, ai neon e alla gente che mi urta e che vorrei affettare con le lame rotanti.
Dovevo comprare delle stoffe all'IKEA e i'idea di trovarmi incolonnata tra stuoli di famigliole con passeggini che procedono a passo di lumaca mi faceva rabbrividire. Rimandavo da settimane e alla fine, saggiamente, ci sono andata il martedì alle 14.00, uno dei momenti più morti della settimana.  

Per risparmiare tempo ho saltato il giro al piano superiore, nell'esposizione degli ambienti arredati che una volta non mi perdevo mai (e grazie alla quale ho arredato casa), e mi sono diretta rapidamente al reparto tessili. Non mi sono fatta distrarre dal reparto cucina e non ho comprato nessuna di quelle cazzatelle di cui solitamente mi riempivo il carrello: accessori inutili per la cucina destinati a restare nei cassetti, bicchieri fragilissimi a 50 centesimi, cuscini dai colori sgargianti, scatole, scatolette e candele, quelle maledette candele che non uso mai.  Riflettevo che non ho più voglia di riempirmi la casa di oggetti inutili, che voglio iniziare un periodo di decluttering.
L'unica concessione che mi sono fatta è stato un vaso di bulbi di narciso (adoro i bulbi perchè sbocciano anche se non ho il pollice verde) e due kit per coltivare in un vaso erbe aromatiche e fiori di campo. Evidentemente invecchiando si acquista una passione per il giardinaggio.

Al bar ho preso una spremuta d'arancia al posto di quei dolcetti ricoperti di glassa che una volta mi piacevano tanto, perchè guardandoli ho immaginato che fossero pieni di grassi idrogenati, olio di palma e conservanti. Sulla stessa scia ho saltato del tutto la visita al negozio di cibi scandinavi; lo scandalo delle polpette con la carne di cavalli dopati deve aver lasciato un segno forte dentro di me, perchè nè le patatine al pepe nè le marmellate di bacche artiche mi hanno tentata minimamente.

Con il mio bottino di stoffe e vegetali un'ora dopo mi sono avviata a casa, realizzando che domenica scorsa, da Eataly, mi è capitata la stessa cosa. Mi aggiravo tra gli scaffali scoprendo ogni sorta di specialità da gourmand e prodotti ricercati, ma poi riflettevo sul rapporto qualtà/prezzo  e sentivo che 6 euro per un sugo sono decisamente troppi, 3 euro per mezzo chilo di pasta trafilata al bronzo anche e 8 euro per una confezione di thè peggio ancora. Mentre osservavo le orde di gente che si aggiravano mi scoprivo a fare elucubrazioni sulla valorizzazione dei prodotti di nicchia come fenomeno di massa e altre amenità. Sono uscita con il cestino pieno solo di prodotti in offerta e con il necessario per la cena, nessuna concessione alla golosità o all'acquisto di impulso.

Ora mi chiedo con un misto di curiosità e di apprensione: sto vivendo un periodo di transizione o d'ora in poi sarò sempre così assennata? Sto diventando una donnina matura e capace di gestire la spesa e il bilancio? Perderò quei tratti un po' naïf  della mia personalità?  Assomiglierò a quelle amiche che facevano sempre la cosa giusta e che io consideravo "vecchie dentro"?

Qualsiasi cosa succeda, spero di continuare a stare bene in mia compagnia, e che nessuno mi definisca mai una "splendida quarantenne". Non lo sopporterei.



domenica 26 gennaio 2014

Le storie nella Storia, un libro per ricordare



Domani è il Giorno della Memoria e credo sia giusto contribuire a mantenere vivo il ricordo di ciò che è stata la Shoah, anche se a volte istintivamente si preferirebbe rimuovere certi orrori. E' difficile parlare di questi temi senza essere retorica o usare frasi fatte; ci proverò.

Sono sempre stata una lettrice appassionata e tra i miei temi ricorrenti ci sono storie e biografie di persone che hanno vissuto la discriminazione razziale e l'Olocausto.  E' un argomento che istintivamente mi ha sempre trovata empatica. Forse non posso accettare completamente quello di cui è capace la malvagità umana, o forse dopo tutto è consolatorio vedere che, osservando la storia settant'anni dopo, la vita è stata più forte del male. Un male che fa ancora paura perchè è nato nell'uomo ed è diventato un'ideologia.


Lasciando scorrere questi pensieri mi sono ricordata di un libro delicato e forte allo stesso tempo che ho letto la scorsa estate, e che parla della vita quotidiana di una comunità un po' strampalata di sopravvissuti all'internamento che vive in un quariere popolare di Tel Aviv.  Si intitola "Giornate Tranquille" di Lizzie Doron, editrice La Giuntina. E' stata una lettura tutta di un fiato, una di quelle che quando arrivi alla fine senti un angolino di vuoto e di nostalgia, come se avessi detto addio a degli amici.

Ogni anno al Salone del Libro visito lo stand della Giuntina, casa editrice dedicata alla storia e cultura ebraica, e mi faccio consigliare qualche romanzo, che non mi delude mai. Da sola non avrei mai scelto  "Giornate tranquille" per via della copertina che trovo un po' kitsch; e per fortuna che a volte si chiede ai librai invece di basarsi sull'impatto della copertina!

Giornate tranquille ruota intorno ad un salone di parrucchiere e manicure in cui si incontra la quotidianità di un'umanità sofferente che si è lasciata faticosamente alle spalle l'Europa e gli orrori dei campi di concentramento. Nessuno parla mai di cosa ha vissuto ma lo si deduce da brevi accenni. E' probabile che nessuno abbia le parole per descrivere ciò che ha provato, ma il loro vissuto trapela da tanti gesti e abitudini: c'è il parrucchiere che tenta invano di cancellare il numero blu tatuato sul braccio ad Auschwitz, la donna che non sopporta la manicure perchè i nazisti le avevano strappato le unghie, quella che spera solo di morire per ritrovare il suo cavallo, ucciso dai tedeschi quando era bambina, quella che si aggira per le strade allucinata raccontando qualche orribile verità al suo cane Rexy. 

La protagonista è Lea, a cui il nazismo ha tolto l'identità e che vive con un senso di eterno smarrimento. Gli unici ricordi che ha della sua infanzia sono di avere vissuto per anni in una buca del terreno da cui una donna, probabilmente polacca, la faceva uscire ogni notte per rifocillarla e in cambio farle pulire l'aia. Si deduce che i genitori la avessero nascosta presso questa donna per salvarla dalla deportazione. A fine guerra sarà portata in Israele da un funzionario che rintracciava gli orfani ebrei e vivrà in un kibbuz, sempre sentendosi estranea e incapace di provare sentimenti. Sposerà un marito più vecchio e avrà un figlio, sentendosi finalmente di appartenere a qualcuno, ma presto rimarrà vedova. Sarà Zaytshik, il parrucchiere legato al marito da un rapporto fraterno nato ad Auschwitz, a prenderla per mano e a creare per lei il lavoro di manicure nel suo negozio.  Gli anni passano veoci nella quodianità del negozio e in Lea nasce un amore profondo e segreto per Zaytshik, tanto che la sua morte la precipita in un abisso di disperazione, da cui solo la condivisione del dolore con le sue affezionate clienti potrà salvarla.

Se non avete già abbandonato la lettura di queste righe impregnate di tanta tristezza e cupezza, starete pensando che non leggerete mai questo libro.  Vorrei farvi cambiare idea perchè la sua magia, che temo di non essere capace a trasmettere, è nella delicatezza con cui tutto è descritto, e nella dignità dolorosa con cui procede la vita di queste persone. La vita e la ricerca della serenità sembrano prevalere sempre, ma la mancanza di un'identità e delle radici, che i nazisti hanno tolto a Lea, può far sentire le persone vive solo a metà

lunedì 20 gennaio 2014

Ritratto di signora (la donna che vorrei essere)


Sul blog La casa nella prateria, che seguo sempre con interesse, è partita un'iniziativa interessante spiegata in questo post

"Parliamo alle nostre figlie...prima che lo facciano le aziende" è un progetto per sensibilizzare le bimbe e le adolescenti di oggi, che crescono bombardate da un'immagine femminile irraggiungibile perchè innaturale, sul concetto della bellezza autentica che è in ogni donna.
Preciso che non ho figlie ma l'argomento mi sta a cuore; ho lavorato tanti anni in un ufficio stampa di moda, sfogliavo riviste italiane e straniere tutti i giorni e l'immagine delle modelle e delle donne algide e finte delle pubblicità mi è venuta a nausea.  L'abuso di Photoshop per ritoccare le immagini di personaggi già belli e fotogenici è sotto gli occhi di tutti, a volte raggiunge risultati grotteschi...ma le bambine che crescono con tali modelli proposti dalle aziende di moda e bellezza e dallo showbusiness cresceranno sentensosi inadeguate. 
Da qui l'invito di Claudia Porta a raccontare modelli di donne a cui vorremmo somigliare, le cui qualità vadano oltre la bellezza patinata, spiegando perchè le ammiriamo. Se non ci mobilitiamo noi, non possiamo aspettarci che lo facciano le aziende impegnate a proporre prodotti aspirazionali, nella logica del "vorrei ma non posso" e quindi "aspirerò tutta la vita con frustrazione ad essere la donna che non sono".


Io il mio modello di donna l'ho trovato senza pensarci un minuto. Vi racconterò di Jane Goodall, l'etologa e antropologa britannica che ha passato la sua vita a studiare il comportamento sociale degli scimpanzè, a denunciare la distruzione del loro habitat, la foresta equatoriali e a rivelarci l'articolata vita sociale degli scimpanzé. Il suo impegno di denuncia sensibilizza da anni l'opinione pubblica internazionale sul tema del rispetto ambientale e delle diverse culture, del bracconaggio e dei rischi dell'assenza di un'etica ambientale matura. E' diventata un simbolo della difesa delle biodiversità; sul sito dell'organizzazione da lei fondata per portare avanti le sue battaglie potrete approfondire.

Per me è un modello perchè da sempre amo gli animali, la natura  e le diversità culturali; da bambina volevo fare la veterinaria e da studentessa avrei voluto studiare antropologia, ma mi è mancato il coraggio di un professione con scarsi sblocchi. Scoprire la complessità dei comportamenti animali e la loro sensibilità mi affascina, e credo che vadano protetti dalla crudeltà e dall'avidità umana.  Ogni volta che leggo di bracconaggio o di foreste distrutte sto male e vorrei gridare che non ci rendiamo conto di andare verso l'autodistruzione.

Mi piacerebbe invitare una bimba a scoprire la bellezza inusuale di Jane Goodall: una donna può essere bella, elegante e di classe anche abbracciata a uno scimpanzè nella foresta, vestita con semplicità e senza trucco.E lei, ancora oggi che ha 80 anni, è una donna bella e con un sorriso sereno. Inoltre ci vuole molto coraggio per stare nella foresta e opporsi ai poteri forti, agli interessi economici delle persone senza scrupoli.

Per condividere le emozioni che la sua figura mi dà, vi lascio con questo video della scimpanzè Wounda che, prima di tornare nella foresta dopo essere stata curata, abbraccia Jane Goodall. Attenzione perchè è molto commovente!


martedì 7 gennaio 2014

You can't always get what you want



Nello specifico volevamo goderci una vacanzina in Lunigiana e Golfo dei Poeti dopo Capodanno.  Il Cowboy (il mio fidanzato, non chiedetemi perchè è soprannominato così perchè ormai le origini del nome sono avvolte nella leggenda) e io avevamo prenotato il bed and breakfast, preparato una lista di luoghi che volevamo vedere e guardato le previsioni del tempo. Dal momento in cui in autostrada il cartello ci ha segnalato che stavamo lasciando il Piemonte per entrare in Liguria la pioggia non ci ha più abbandonato.
Dopo 3 giorni di itinerari cambiati lì per lì per evitare di lavarci dalla testa ai piedi e di notti scandite dal rumore degli scrosci della pioggia sul tetto della camera ci siamo arresi e siamo tornati a casa. Intanto i fiumi erano gonfi da far paura, la Protezione Civile stava valutando di chiudere i ponti sul fiume Magra ed era stato dichiarato lo stato di allerta massimo.
Siamo così tornati a casa con 2 giorni di anticipo, accolti in Piemonte da un panorama stupendo con tutto l'arco alpino innevato che si faceva ammirare a 100 chilometri di distanza. E pensare che la Lunigiana non si è lasciata vedere nemmeno per un attimo, avvolta costantemente nelle nebbie.

A parte sconsigliare a tutti di fidarsi delle previsioni a 24 ore di www.meteo.it, il sito a cui mi sono affidata tutta trulla e che mi rassicurava sul tempo nei giorni a venire, vorrei fare una piccola riflessione. Alcune persone mi hanno suggerito di cercare il lato positivo della faccenda, perchè c'è sempre un insegnamento e un aspetto positivo da considerare.

Personalmente non ci vedo un questione  filosofica nè un arcano da scoprire: le cose possono andare bene o male e stavolta è andata male, siamo stati dispiaciuti ma senza farne tragedie, ovviamente avremmo preferito non buttare i soldi in un'alluvione ma ci sono cose peggiori, non mi sento di appellarmi alla sfortuna cosmica nè di trovare insegnamenti sui massimi sistemi.  Non si può sempre avere quello che si vorrebbe, a volte le cose vanno male, la sfortuna ci accompagna dal momento prima di uscire di casa a quando mettiamo le chiavi nella toppa al ritorno.  In questo caso il valore economico della vacanza rovinata pesa sul nostro bilancio e ci impedirà di fare un altro weekend fuori per qualche mese, ma comunque bisogna imparare a dare il giusto valore alle cose e relativizzare il danno.

Mi sono comunque portata a casa qualche ricordo piacevole: la gatta Flora del bed and breakfast con una macchia a forma di cuoricino sul naso, l'accoglienza dei proprietari del b&b Il Ciliegiolo, la farinata e i panzerotti sopraffini e il borgo di Montemarcello, un vero gioiello architettonico che si affaccia sul Golfo dei Poeti, uno di quei luoghi in cui se vincessi alla lotteria comprerei subito una casa.
Il borgo di Tellaro

La gatta Flora