lunedì 23 dicembre 2013

E' la stima che fa il capo






Ho appena assistito all'ennesimo episodio di maleducazione al lavoro, in uno dei posti in cui faccio consulenza. La classica piccola azienda dove il capo si sente a suo agio più che a casa sua e considera le persone come delle appendici delle scrivanie. Il piccolo-grande uomo si permette di prendersi confidenze non dovute e inopportune (bisogna schivare in continuazione domande personali su situazione economica, fidanzati, salute, ecc) e, quando i pianeti gli si dispongono in una quadratura sfavorevole, di trattare male le persone, senza rispetto, per poi tornare a fare battute e sorrisini quando il nervoso è sbollito.

Vittime predestinate sono le donne, gli stagisti e i precari, le collaboratrici con autostima fragile e con elevato senso del dovere, troppo educate per mandarlo dove merita.
Con le persone prepotenti e con chi teme,invece, è di una debolezza e arrendevolezza imbarazzanti.
E' da un po' che vorrei consigliare a quest'uomo di tatuarsi sul bicipite, a imperitura memoria, la sua filosofia comportamentale "Forte con i deboli e zerbino con i forti".

Osservando i comportamenti di tale personaggio mi permetto di stendere un decalogo dell'assurdo: le regole base, che più base non si può, che una persona deve seguire se vuole coordinare altre persone, le doti che un capo deve avere per essere percepito e rispettato come tale:

1- Essere preparato almeno come i sottoposti, aggiornarsi e non dire castronerie quando parla. Mi sono spesso vergognata profondamente di partecipare alle riunioni dai clienti con un coordinatore che improvvisa su qualsiasi argomento, fa errori lessicali, grammaticali e si mette in bocca a caso parole inglesi sentite dire. Capire la differenza tra Twitter e Facebook e tra un congiuntivo e un condizionale è doveroso.

2- Essere politically correct e tenere per sè opinioni politiche, religiose e sessuali: sembrerà superfluo ma non lo è! Atteggiamenti maschilisti, commenti razzisti ed epiteti verso gli omosessuali sono all'ordine del giorno.  Per non parlare delle bestemmie e delle volgarità gratuite, che infastidiscono profondamente anche gli atei più convinti.
Se la persona è animata da sentimenti meschini, misogeni e razzisti, pretendo almeno che si renda conto del fatto che non è opportuno esprimerli in pubblico. Chiamo in causa la "bella figura" con la gente, la retorica buonista dei politici, il politically correct degli anglosassoni, che a fronte di comportamenti del genere metterebbero in atto sanzioni sociali pesanti.

3- Non proiettare le sue ansie sui sottoposti, inoculando il terrore psicologico e l'incertezza del futuro lavorativo ("Sicuramente il cliente non rinnoverà e uno di voi rimarrà a casa". Per poi ritrovarci tutti lì con lo stesso cliente, anno dopo anno...).

4- Creare il team, non distruggerlo con commenti alle spalle degli assenti, pettegolezzi di vario tipo diffusi con l'immancabile "Ti dico una cosa ma giura di non dirla a nessuno...". Durante la mia collaborazione in quest'azienda ho lavorato a fianco di vari "dead man walking": persone che svolgevano il loro lavoro ignare, mentre tutti sapevano essere destinate ad essere fatte fuori. Tutti eravamo al corrente delle loro colpe e mancanze ma avevamo la consegna tassativa di non parlare finchè qualcuno, mosso a compassione, faceva giungere la voce all'interessato perchè potesse almeno avere il tempo di cercarsi un lavoro alternativo.

5- Non fare commenti costanti, alle spalle degli interessati, sull'aspetto fisico e sul carattere di collaboratori e clienti (la Tale è un cesso, Tizio ha lo sguardo da serial killer). La tentazione di riempire i corridoi di specchi affinchè possa accorgersi che la sua figura tarchiata non assomiglia  nè a George Clooney nè ai fratelli Bergamasco è davvero forte...

6- Non litigare pubblicamente con i propri soci:  evitare i commenti dispregiativi verso i propri soci in affari e le liti plateali con i vaffan...e le minacce a 2 millimetri dalla faccia dell'avversario. Creano inevitabilmente divisioni nel gruppo e autorizzano i colleghi a comportarsi male con gli altri. L'esempio ha la sua forza.

7- Non interrompere regolarmente chi parla e ascoltare; per contro indire riunioni in cui parlare ininterrottamente dei propri successi del passato e delle proprie intuizioni, incensarsi e rimbrottare chi mostra segni di distrazione.

8- Non prendersi i meriti delle idee altrui e dire sempre"Io". All'asilo mi insegnarono la filastrocca "Io, io, asino primo", che ha un fondo di verità. Una persona che propone ai clienti le idee di un gruppo di lavoro composito dovrebbe imparare a dire "noi", e a non volersi arrogare la paternità di idee che poi non sa neanche esporre.

9- Credere nella formazione professionale e nell'aggiornamento tecnologico: i due concetti dovrebbero essere percepiti come investimenti. Lavorare con una licenza Office e non con dei programmi free che regolarmente ti abbandonano sul più bello o non possono essere aperti dai clienti dovrebbe essere un diritto di base del lavoratore. In un'impresa che si fregia di produrre comunicazione non dovrebbe accadere di sentirsi accusare di essere poco aggiornati e poi non disporre del budget per comprare neppure un quotidiano ogni tanto, o di fare un corso di aggiornamento a proprie spese con la promessa-ricatto "Se a fine anno mi porti i risultati ti rimborserò il corso". Risultati che, inutile dirlo, non sono mai sufficienti....

10- Non rendere incubi le trasferte di lavoro: il piccolo grande uomo viaggia solo se è lui a guidare, si considera Schumacher ma in realtà ha la sindrome del piede ballerino, non crede nella distanza di sicurezza nè nei limiti di velocità. Al volante della sua berlina da 15 metri (che gli dà l'illusione di essere un uomo arrivato) scorrazza su e giù per le autostrade sballottando collaboratori impotenti in preda al mal d'auto, impegnati silenziosamente a mettere la propria incolumità nelle mani del Buon Dio e  a onorare dei voti se arriveranno vivi a destinazione senza schiantarsi sul paraurti della macchina davanti.

Al di là del rimescolamento di bile che assistere o subire queste situazioni mi provoca ogni volta, credo che in una prospettiva più ampia io debba ringraziare il piccolo grande uomo, perchè l'insoddisfazione data dalla situazione mi ha spinta a guardarmi intorno, a non accettare contratti stabili in questa azienda ma a cercare nuovi sbocchi, e ora mi sta guidando verso il desiderio di riqualificarmi e lavorare da freelance.
Compatibilmente con la necessità di lavorare che condivido con la maggior parte delle persone, l'esigenza di essere rispettata è fondamentale, non riesco a metterla da parte senza somatizzare o stare male. Mi domando sempre se quando passerà il momento di crisi che costringe tutti a ringraziare ogni giorno di avere un lavoro e a tenerselo stretto come un koala con un albero di eucalipto, aziende come questa vedranno un fuggi fuggi di personale al limite della sopportazione.

La mission di un'azienda non dovrebbe essere l'espressione dell'ego di chi la dirige, professionista a cui si chiede di saper far coesistere il suo carattere (bello o brutto, invadente o riservato, curioso o irascibile) con l'adeguatezza al RUOLO AZIENDALE.

Avere doti da leader di un'azienda non è da tutti, ma arrivare a certi livelli di negazione è altrettanto difficile.  Il risultato è un clima di conflitto permanente, perchè i collaboratori non rispettati reagiscono mancando di rispetto e manifestando appena possibile la scarsa stima verso il boss.
La stima, si sa, si guadagna sul campo con carisma e competenza, non si impone con le posizioni di superiorità "io comando e  tu esegui senza fiatare".

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